Che la musica avrebbe segnato la sua vita era scritto nelle stelle, ma soprattutto nel suo cognome. Stefano Basso, Operatore di Produzione ASA, alle 7 note si è avvicinato “per famiglia”, grazie ad un fratello più grande a cui rubare i primi LP. “The Dark Side of the Moon dei Pink Floyd è stato il mio primo approccio alla musica con la “m” maiuscola. Quando però l’asticella parte già così alta, tutto ciò che viene dopo ha una salita infinita da fare per tentare di raggiungere lo stesso livello. È stato però il secondo LP, “Made in Japan” dei Deep Purple, che ha rappresentato la folgorazione: quella batteria mi ha travolto e mi ha convinto che la mia strada sarebbe stata quella. In prima superiore ne ho noleggiata una e da quel momento è iniziato il mio percorso. Ho fatto corsi, ho studiato, ma non mi sono mai impegnato fino in fondo…”.
Che cosa ti ha insegnato però la musica?
La disciplina. Ma anche la creatività e la sperimentazione. Oggi però ho appeso le bacchette al chiodo, perché quando la fatica supera il divertimento è tempo di smettere. Rimango però profondamente convinto di quanto il ruolo di un batterista sia baricentrico in una band. Nonostante la batteria sia lo strumento spesso più bistrattato e relegato in secondo piano, in realtà rappresenta la spina dorsale non solo perché dà il ritmo, ma anche perché è capace di supplire agli errori del resto del gruppo. La batteria, all’occorrenza, rincorre, recupera, si adatta riuscendo a bypassare le imprecisioni anche di altri.
Cosa porti di questo approccio nella tua attività quotidiana?
Il ritmo e l’organizzazione. Da batterista, però, per avere il giusto ritmo chiedo molto alla qualità del mio suono, ma anche a quella degli altri.
Che musica è quella che suona in ASA?
Sicuramente non è un solo genere perché la scelta dipende molto da quello che si sta facendo in un determinato momento. Di fondo, però, deve sempre rimanere la centralità del ritmo. Se, però, dovessi scegliere un autore, punterei su John Coltrane e sulla sua versione di “My Favorite Thing”. Un brano con una melodia meravigliosa che richiede sempre attenzione e capacità di non perdere mai di vista il ritmo.
ASA è una band o un’orchestra?
Da 30 anni siamo una sinfonica che sta accordando gli strumenti. Singolarmente strimpelliamo, ma insieme possiamo davvero raggiungere livelli alti. Il punto è usare un metronomo comune e trovare il groove giusto.
Non solo da musicista, ma da tecnico, come lo si trova?
Credo che ognuno debba imparare a fare un passo in dietro nel nome dell’umiltà e della collaborazione. Utile è riconoscere che gli “assoluti” non esistono, dimostrandosi pronti a mettersi in discussione. Il miglioramento nasce anche dal dubitare di quanto si fa, così dal trovare soluzioni alternative e magari più “giuste”.
È questo che insegni ai ragazzi che formi in azienda?
Tra le mie attività c’è anche quella ed è per me un onore e una responsabilità. Riuscire a trasmettere non solo informazioni pratiche, ma soprattutto un approccio nello svolgere un lavoro è indubbiamente gratificante, ma estremamente impegnativo se l’obiettivo è veicolare qualcosa che vada oltre il corretto modo di avvitare un bullone. Il mio compito è insegnare un metodo, una filosofia, un approccio al lavoro che sia di valore.
A te chi lo ha insegnato?
Mio padre, grande maestro e grande critico. Oggi mi riconosco molto in lui. Mi consola pensare che, se a distanza di tempo io gli riconosco il merito di quello che mi ha insegnato, potrà accadere lo stesso in futuro con i miei allievi.
Che insegnare sia nel tuo DNA lo racconta anche una recente targa che ti è stata conferita come Istruttore Subacqueo…
Per i 25 anni di attività continuativa mi hanno dato questo riconoscimento. Un segno tangibile che sto invecchiando e del mio amore sconfinato per l’acqua. La passione per la subacquea è nata proprio da lì e dai documentari di Jaques Cousteau che vedevo da bambino. Insieme alla musica, la mia seconda folgorazione è avvenuta intorno ai 5 anni quando ho visto il mare. Un amore a prima vista per cui sarei stato anche disposto a investire in termini di formazione. C’è stato un momento in cui fare il perito subacqueo avrebbe potuto essere una strada concreta da percorrere. La vita però ha spesso più fantasia di noi e mi sono limitato ad iscrivermi ad un corso e successivamente diventare istruttore.
Cosa ti affascina del mondo sottomarino?
Il silenzio. La pace che riesco a vivere quando mi trovo lì sotto. In quei momenti penso solamente a quello che devo fare, soprattutto quando mi immergo con dei neofiti. La responsabilità che ho nei loro confronti la avverto chiara. Un grande lavoro, però, si fa fuori dall’acqua in termini di creazione di un rapporto di fiducia. Le persone devono immergersi pensando a divertirsi e a stare bene: la mia più grande soddisfazione è vederli riemergere, dopo le titubanze iniziali, con un grande sorriso e il desiderio di rifarlo.
Cosa porti sul posto di lavoro che medi dal mondo della subacquea?
Il pensare di non saperne mai abbastanza, che bisogna migliorare sempre e non accontentarsi di pseudo sicurezze. Guardo con perplessità a chi si immerge con la certezza di avere tutte le attrezzature rispondenti agli standard. Io controllo e ricontrollo, mi pongo domande e sollevo dei dubbi. Credo però sia parte del mio carattere e non un approccio al sub. Anche il lavoro, infatti, è per me una costante rincorsa a migliorarsi, a non accontentarsi, a sfidarsi con l’obiettivo di trovare sempre altri stimoli. Sicuramente, però, si tratta di un’arma a doppio taglio soprattutto quando cerchi la perfezione che rincorri anche negli altri. In 30 anni di ASA, però, ho ancora voglia di correre.